Massimo Berruti – Giocare la vita
Occorrono, montalianamente, troppe vite per farne una.
Le vite di ieri riverberantesi nelle vite di oggi e di domani. Ecco perché Massimo Berruti, intuita, inseguita, afferrata la traiettoria dell’arte, ha voluto ritrovare se stesso, il campione di pallapugno (di pallone elastico, per i legittimi nostalgici) che fu, che resta, interpretando le nuove energie sprigionatesi fra la luna e i falò. Il suo atelier (anche) come uno sferisterio, quindi un agone, dunque il teatro di una non meno salvifica sfida. Giorno dopo giorno provando e riprovando, “servendo” l’urgenza di lasciare un “segno”, un’orma, un grano di stupore.
Che cos’è Io studio di Massimo Berruti se non una fuga dall’ovvio, un girotondo intorno all’essenza, finalmente ignorando, incenerendo, esiliando il miope sguardo ombelicale, una ricerca che ha il respiro dell’avanguardia, ma non vacua, non narcisistica, irriducibile – il monito mai arrugginito di Nabokov – “a qualche audace moda filistea?”,
Si vorrebbe (si dovrebbe?) discettar di tecnica visitando l’oasi di Massimo Berruti? Magari zigzagando, dalla pop-art allo spazialismo. Eppure, per afferrarne il cuore, come non abbandonare o, almeno, dileguare i critici ferri del mestiere? Cosi auscultando sommamente, sommessamente, questa e quella opera , nel suo artefice avvertendo un sensitivo, un rabdomante nelle profondità, un ulisside oltre le colonne d’Ercole.
Pulsa, in Massimo Berruti, un’ansia nitida, un imperativo categorico, quale forgiò un’anima della sua terra, Beppe Fenoglio: bussare a tutte le porte dell’orizzonte. La sua arca è un’astronave e un sommergibile e una carovana nel capovolto nostro mondo. Impavida, fantastica, corsara, veleggiante verso un’isola del tesoro a cui non si potrà mai abdicare.
Il mistero. Ecco la stella polare di Massimo Berruti.
Identificata, contemplata, meditata, onorata di una fedeltà così inquieta, così forgiata nel cimento, così senza rete, cosi battezzata nel fuoco. Una “tavola salvagente per nuotare nel diluvio”, ulteriormente la eleverebbe (vi si inchinerebbe) don Gesualdo Bufalino.
Il mistero che è la donna. Di Massimo Berruti, di questo hidalgo vagabondo in se stesso, Lei è il talismano e unguento e smisurato specchio e onirico (e infine unico?) diamante in posa. È – come non attingere nella prosa di Giovanni Arpino, il cantore del “braccio d’oro” – “un cristallo dai mille volti”, una carnosa ma anche impalpabile visione.
Se non la bellezza, che cosa giustifica, che cosa fonda, il “fare” di Massimo Berruti? Il nostro inviato nell’Eden, ora farcitore, ora farcito, una testimonianza che nell’“origine del mondo” profondamente, dolorosamente, appassionatamente si compenetra. Guardando negli occhi il serpente. Mai abbassandoli.
Massimo Berruti – Breve Biografia
Massimo Berruti è nato a Rocchetta Palafea (AT) nel 1948.
Espone dal 1973. Vive e lavora a Canelli. La sua ricerca pittorica è iniziata nel 1968 ispirandosi alla Pop Art per poi proseguire con una ricerca più personale legata alla psicoanalisi, all’astronomia, all’erotismo e alla dimensione “ombra” delle persone.
Temi a cui è sempre rimasto legato, anche se dalla fine degli anni Ottanta ha cambiato tecnica, lavorando soprattutto ad aerografo, tecnica a spruzzo che consente di rendere al meglio il desiderio in una pittura tutta basata sulla luce e sulle sfumature.