ANGELO RUGA – Un segno lungo una vita
“Perché l’opera d’arte prenda fiato deve diventare una costruzione senza peso, contenitore di vuoti, come il pane che lievita, come la musica che dà spazio al silenzio delle pause, come il disegno che dà respiro al foglio, dove i vuoti dominano sui pieni.” È una frase di Arturo Martini che spesso Angelo Ruga ripeteva nel raccontare il suo percorso espressivo ricco di segni-disegni, di silenzi e di vuoti, di atmosfere e di poesia, una ricerca che si identificava completamente nella frase del grande scultore del Novecento.
Segni che non sono il frutto di un gesto istintivo e immediato, ma una forma pensata che agisce e si situa in un certo modo, secondo una precisa disposizione. Un segno che non appartiene a una forma statica, ma è un segno in movimento, un segno lungo che descrive una forma intuibile più che reale.
Angelo Ruga – Breve biografia
Angelo Ruga nasce nel 1930 a Torino, dove tra il 1948 e il 1957 si forma presso il Liceo Artistico e l’Accademia Albertina. Inizialmente dipinge paesaggi tradizionali e compie viaggi di formazione nel centro-sud d’Italia: Umbria, Lucania e Puglia.
Viene ingaggiato come calciatore professionista dalla squadra di Albissola Marina (Savona), dove si trasferisce e vive dal 1954 al 1956. Qui ha il primo approccio col materiale ceramico e la manipolazione della materia argillosa, ma soprattutto entra in contatto con gli esponenti dell’avanguardia artistica nazionale e internazionale. Fra questi, Asger Jorn che nel 1954 lo ritrae in un dipinto a olio conservato al Museum Jorn di Silkeborg (Danimarca).
Esordisce nel 1955 con una mostra personale alla Galleria Sant’Andrea di Savona, presentato da Emilio Zanzi, il critico che per primo riconosce nei suoi dipinti l’impiego di un segno personale e innovativo. Un segno che Ruga ha iniziato a utilizzare poco tempo dopo la sua formazione all’Accademia Albertina di Torino; un segno che appartiene alla tendenza astratto-informale, tipica del clima culturale che si respirava nel capoluogo piemontese in quegli anni, ma in una certa maniera differenziata rispetto alle ricerche dei coetanei Ruggeri, Ramella e Soffiantino, perché orientata verso una particolare forma d’astrazione gestuale, caratterizzata da tasselli di colore compatti alternati a velature e dissolvenze di tinte tenui e delicate.
Per quegli anni si tratta certamente di una singolare gestualità ottenuta con segni rapidi, larghi e uniformi tracciati con un pennello dalla ghiera larga usando solo pochi colori. In particolare il nero, il grigio, il rosso, il marrone e l’ocra, con pennellate distese rapidamente e dove ogni colore definisce e delimita uno spazio.
Una fase iniziale che fa già intuire come l’arte di Angelo Ruga non è mai stata un’avventura fantastica, ma il risultato di un meditato processo di pensiero e di analisi che ha preso avvio a partire proprio da quegli anni. Questi primi lavori rappresentano la base da cui, a poco a poco, nelle sue opere si afferma un mondo fatto di geometrie sghembe, mentalmente ritmate con forme e colori differenti che nel tempo hanno preso il posto e si sono sostituiti in una lenta progressione alle precedenti macchie compatte e ai gestuali segni/spazio monocromi liberamente tracciati del primo periodo.
Nel decennio successivo, ritorna alla pittura di paesaggio nei dintorni di Mongreno, il luogo dove si trasferisce e vive, e li popola di personaggi e maschere (spaventapasseri, arlecchini, soldati) che negli anni Settanta escono dai quadri per diventare sculture polimateriche, nelle quali elementi plastici in legno e ceramica convivono con resti organici e oggetti residuali della cultura contadina.
Col passare degli anni si concentra sempre più sulle visioni del paesaggio agreste e la sua pittura si fa via via più astratta, sorretta dalla forza sintetica della linea e da campiture cromatiche pure e piatte. Nascono i cicli delle Colline, degli Insetti, dei Giochi (1985-1990), dei Paesaggi immaginari (1990-1996).
I quadri divengono più programmati, provengono da una inedita lettura del paesaggio, contengono una inderogabile sperimentazione intellettuale e conservano un segno nero non più gestuale, ma descrittivo e costruttore di forme. Ruga fa uso di un segno che col passare degli anni è diventato un elemento essenziale dell’espressione, carico di indizi, rivelatore di pulsioni interne, il primo grado di una forma in divenire.
Nel 1993 acquista un’antica dimora a Clavesana nelle Langhe dove dapprima trasferisce il suo studio, poi l’abitazione e infine vi si spegne nel 1999.
La mostra
La mostra, allestita nelle sale espositive del Castello di Monastero Bormida, offre una vasta panoramica di questo artista.
La curatela dell’esposizione è affidata a Rino Tacchella in collaborazione con le Associazioni Culturali Angelo Ruga e Museo del Monastero.